giovedì 14 luglio 2011

Miracle on ice


Olimpiadi invernali del 1980, Lake Placid. Gli Usa vincono la medaglia d'oro battendo nel secondo, e decisivo, incontro del gruppo delle medaglie la Finlandia. Ma la partita che tutti ricordano è la prima del gironcino finale, che possiamo considerare come la semifinale. Stati Uniti contro Unione Sovietica.

Siete nati per essere giocatori. Il vostro destino è essere qui in questo momento. Il vostro destino è giocare questa partita”. La partita è Usa-Urss, semifinale di hockey su ghiaccio alle Olimpiadi del 1980 a Lake Placid. A parlare è Herb Brooks, coach della nazionale statunitense. Ancora non sa che il destino dei suoi ragazzi non è giocare ma vincere quella semifinale e convincere una nazione che, qualche volta, i miracoli possono accadere.

Le nazionali

Gli Usa sono l’ultima nazionale ad aver battuto l’Unione Sovietica alle Olimpiadi: è successo nel 1960. In quella nazionale avrebbe potuto esserci anche Herb Brooks, ma non ha superato l’ultimo taglio prima della convocazione della rosa definitiva. Nelle successive quattro edizioni, i sovietici hanno registrato 27 vittorie, un pareggio, una sconfitta. In quella nazionale giocavano l’ala destra Boris Mikhailov, Vladislav Tretiak, considerato all’epoca il miglior portiere del mondo, il talentuoso Valeri Kharlamov e il difensore Viacheslav Fetisov. Questi ultimi tre entreranno nella Hall of Fame.

La nazionale a stelle e strisce era invece composta da giocatori di livello universitario, con un’età media di 22 anni. Solo Buzz Schneider aveva fatto parte della spedizione ai Giochi di Montreal, quattro anni prima. Brooks pesca nelle due aree di maggiore diffusione dell’hockey: il New England, soprattutto Boston, e le regioni fredde del Midwest, Minnesota e Wisconsin. Alla fine, dei 20 selezionati, nove provengono dall’Università del Minnesota, 13 da Boston.

A settembre iniziano una serie di 61 amichevoli in cinque mesi. L’ultima, il 9 febbraio 1980, tre giorni prima della cerimonia d’apertura, al Madison Square Garden, contro l’Unione Sovietica. L’Urss vince 10-3. Per il coach sovietico Viktor Tikhonov quell’amichevole si rivelerà un boomerang perché i suoi ragazzi sottovaluteranno gli Usa in semifinale.

In quei sei mesi Herb Brooks, da St.Paul, Minnesota, fa molto di più che costruire una squadra. All’epoca allenava la squadra dell’Università del Minnesota con cui aveva vinto tre titoli negli anni Settanta. In quei sei mesi cancella i dubbi del Comitato Olimpico, scettico sulla sua nomina di allenatore della nazionale olimpica, e trasforma quel gruppo di studenti nell’immagine del capitalismo, dell’American way of life applicata all’hockey: competizione, esuberanza, gioventù.

Iniziano le Olimpiadi

Gli Usa, settima testa di serie tra le dodici nazionali, sorprende per il suo gioco fisico e la coesione di squadra. Nel match d’esordio, contro la Svezia, tra le favorite per la vittoria finale, riescono a pareggiare 2-2 segnando il gol decisivo a 27 secondi dalla fine grazie alla mossa di Brooks che toglie il portiere Jim Craig per aggiungere un attaccante.

La nazionale a stelle e strisce vince le successive quattro partite. Prima del secondo incontro, Dave Christian in spogliatoio modella un paio di ali e una coda da un cartone di Budweiser e se le attacca al casco. Gli Usa volano e battono 7-3 la Cecoslovacchia. Nel match successivo, gli Usa chiudono il primo periodo in svantaggio 0-1 contro la Norvegia. Dave Silk, nell’intervallo, chiede maggior supporto tra i compagni di squadra e chiede a ognuno di dire solo cose positive agli altri. “Eravamo giovani e immaturi” commenta Mike Eruzione. Ma la tattica funziona e gli Usa vincono 5-1, poi sconfiggono 7-2 la Romania e 4-2 la Germania Ovest.

Nell’altro girone i sovietici hanno vita facile. Battono 16-0 il Giappone, 17-4 l’Olanda, 8-1 la Polonia, 4-2 la Finlandia e 6-4 il Canada. Al girone per le medaglie arrivano Usa e Svezia dal gruppo A, Urss e Finlandia (che dopo aver perso con la Polonia il primo incontro riesce a sorprendere il Canada) dal gruppo B.

Tikhonov prepara il girone tenendo i giocatori a riposo, facendo loro studiare schemi e strategie. Brooks porta i suoi sul campo, li fa pattinare, mette il gruppo del Minnesota contro quelli di Boston, li sprona come un generale dei marines farebbe con le ultime reclute arrivate in un film di guerra. Celebre una sua frase: “giocate sempre peggio ogni giorno. Adesso state giocando come alla metà del mese prossimo”.

La sua è una forma certo singolare di motivazione. Il suo obiettivo è spingere alla coesione perché, dice ai suoi, “non avete abbastanza talento per vincere solo grazie al talento”. Per questo “non potete essere normali, perché l’uomo comune non va da nessuna parte. Dovete essere speciali”.

Dave Anderson, del New York Times, scrive: “A meno che il ghiaccio non si sciolga o avvenga un miracolo come negli anni Sessanta, i sovietici stanno per conquistare agevolmente la sesta medaglia d’oro nelle ultime sette Olimpiadi”. Il ghiaccio non si scioglierà, ma l’Urss non salirà sul gradino più alto del podio.

Credete nei miracoli?

Gli 8,500 posti della Field House sono stracolmi di bandiere e di tifosi che cantano God Bless America. Ma gli altri americani, quelli che non fanno parte degli 8.500 fortunati, non possono guardare la partita nemmeno in tv. Il match è in programma alle 17. Gli Usa hanno chiesto ai sovietici se fossero d’accordo a spostarla alle 20, ma la proposta è stata declinata perché, per i telespettatori sovietici avrebbe significato un fischio d’inizio alle 4 di mattina.

Perciò la ABC decide di non trasmetterlo in diretta, ma solo in differita registrata in prime time. Telecronista dell’incontro è Al Michaels, che commenta insieme all’ex portiere dei Montreal Canadiens Ken Dryden, che solo il giorno prima ha sostenuto a Toronto il “bar exam”, un esame periodico previsto, in alcune giurisdizioni, per l’esercizio della professione forense.

Michaels è stato scelto perché è l’unico, tra i telecronisti sportivi della ABC, che avesse mai commentato un match di hockey. Ma proprio uno di numero: la finale del torneo olimpico del 1972 tra Urss e Cecoslovacchia (vinto dai sovietici 5-2). E allora era stato selezionato perché da ragazzo era stato appassionato di hockey e perché, semplicemente, nessun altro voleva commentare il match.

La CTV, la televisione canadese visibile anche negli stati degli Usa più vicine al confine, però decide di trasmettere l’incontro in diretta.

Come in molte altre occasioni, gli Usa partono in salita. Vladimir Krutov devia uno “slapshot” di Aleksei Kasatonov e porta l’Urss in vantaggio. Gli americani pareggiano con Buzz Schneider ma i sovietici tornano in vantaggio con Sergei Makarov. Sull’1-2 sale in cattedra Jim Craig, il portiere della nazionale statunitense. Per capire il livello della sua partita basta guardare la statistica dei tiri in porta alla fine del match: Urss 39 – Usa 16.

Nei secondi finali del primo periodo Dave Christian prova uno slapshot dalla lunghissima distanza, Tretiak salva ma la sua respinta è tutto tranne che perfetta. Il puck finisce a una ventina di metri di distanza, in posizione centrale rispetto alla porta. Mark Johnson, figlio dell’allenatore della nazionale del 1976, passa in mezzo a due difensori e pareggia. Manca un solo secondo alla fine del periodo.

I sovietici, che hanno timidamente protestato sostenendo che la rete fosse stata segnata a tempo scaduto, stanno già andando verso gli spogliatoi. Non vogliono tornare indietro per il face off da un secondo. Ma le regole sono le regole. Tikhonov allora manda in campo tre giocatori di movimento più il portiere. E il portiere non è Tretiak, è il secondo Vladimir Myskhin. “Non so perché l’ha fatto” commenta amaramente Tretiak più di vent’anni dopo. “Chiedetelo a Tikhonov. Era lui il coach”.

Non aveva giocato bene nelle partite precedenti” dirà Tikhonov, “e avevo l’impressione che fosse un po’ troppo nervoso”. Come ammetterà anni dopo il coach sovietico, quella mossa è “la svolta della partita, il più grande errore della mia carriera”.

Un errore che, comunque, non si palesa subito. Perché nel secondo periodo i sovietici non concedono gol, gli Usa tirano peraltro solo due volte. Le undici parate di Craig mantengono in partita gli Usa, che concedono solo un gol, per giunta in inferiorità numerica. Con il gol di Alexander Maltsev il secondo periodo si chiude con l’Urss in vantaggio 3-2.

Dopo 6 minuti e 47 secondo del terzo tempo, Vladimir Krutov viene spedito sulla panca della penalità per aver colpito un avversario con il bastone. Con gli Stati Uniti in power play, Myskhin para un tiro di Mike Ramsey poi il capitano Mike Eruzione spedisce fuori. Quando mancano nove secondi allo scadere della superiorità numerica, Dave Silk si avventa sul puck vagante, lo fa passare sotto il pattino del difensore Sergei Starikov e ancora una volta Johnson è l’uomo giusto al posto giusto. Si sono giocati 8 minuti e 39 secondi: Usa e Urss sono di nuovo in parità, 3-3.

Passano 81 secondi e Mark Pavelich trova Mike Eruzione, lasciato inspiegabilmente libero. Eruzione, i cui genitori sono presenti sugli spalti, è l’uomo della provvidenza: Usa 4 – Urss 3 quando mancano 10 minuti alla fine.

Brooks chiede ai suoi concentrazione: “Ho insistito” ha spiegato, “quanto fosse importante restare fedeli alla nostra tattica, al nostro sistema di gioco. Ho visto troppe squadre farsi rimontare dai sovietici. Stavamo diventando ansiosi, gettando via il puck: cominciava ad affiorare la paura, dovevamo calmarci”

Con 8 minuti e 15 ancora da giocare, Craig compie un’altra parata strepitosa, salvando col pattino su un “backhander” (un tiro scagliato con la parte posteriore del bastone) di Vladimir Volikov. Ma non c’è paura, non c’è panico negli ultimi cinque minuti.

La paura di perdere si fa sentire, invece, tra i sovietici, che perdono lucidità. Tikhonov non prova mai la mossa disperata di togliere il portiere Myshkin per un attaccante extra: “non credeva nel sei-contro-cinque” spiegherà Starikov anni dopo. Craig si regala un’altra parata, forse la più importante, con 57 secondi ancora sul cronometro, su Vladimir Petrov.

I secondi scorrono, gli Usa cercano di portare il puck fuori dalla zona blu. Il pubblico scandisce il count-down e Al Michaels l’accompagna con un finale di telecronaca rimasto nella storia: “Undici secondi...dieci...è partito il countdown! Morrow, in avanti per Silk. Cinque secondi ancora da giocare. Credete nei miracoli? SIIII”.




È uno di quei rari e magici momenti olimpici, di quegli eventi più grandi dei vincitori e degli sconfitti. “Il primo sovietico cui ho stretto la mano sorrideva” ha confessato Mark Johnson.

Il 3 marzo 1980 Sports Illustrated esce in edicola con in copertina solo una foto di Heinz Kluetmeier.


Non c’è didascalia, non c’è titolo. Non serviva, commenta Kluetmeier. In America tutti sapevano cos’era successo.

Era successo un miracolo sul ghiaccio.

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