lunedì 13 agosto 2012

Ratko Rudić, il pittore della pallanuoto moderna




“Siamo un Paese piccolo, che ha una storia molto ricca e abbiamo bisogno di dimostrare, nonostante le dimensioni, di essere ad alti livelli e di poter competere con i Paesi più grandi e famosi. È la caratteristica di noi croati”. Parola di Ratko Rudić, che ha appena portato la Croazia all’oro olimpico contro l’Italia dell’allievo Sandro Campagna, capace di battere i maestro un anno fa ai Mondiali di Shanghai. “Ci piace essere competitivi ed esprimere un gioco interessante e tecnico”. Anche la guerra ha influito, secondo il tecnico che ha portato la pallanuoto nell’era moderna. “Fa parte dell' orgoglio croato la voglia di indipendenza. E questo aiuta a identificarsi con la maglia della nazionale”.

La guerra è entrata anche nella vita di Rudić, che si è costruito una fama di “sergente di ferro” che non corrisponde del tutto alla verità. Suo padre era militare: Ratko è nato a Belgrado ma ha vissuto tra Zara, Zagabria e Spalato. Qui passa un’adolescenza felice, che ha raccontato a Corrado Sanucci di Repubblica nel 1995. “Tornavamo tardi la notte, mentre i netturbini lavavano le strade e noi facevamo le scommesse. Bendavamo qualcuno, gli facevamo traversare la piazza, che aveva il fondo un po' sconnesso e in dislivello, doveva imbucare una porticina dall’altra parte”.


A Spalato gioca per lo Jadran, club fondato nel 1920 con il nome di Pomorskog klub Balun, che cambiò nome l’anno dopo aver vinto il campionato jugoslavo, nel 1924. Il Jadran vincerà altri sei titoli dalla fine della seconda guerra mondiale e conquisterà due Coppe dei Campioni nel 1992 e 1993. Il Jadran ha una fortissima rivalità con il Mornar, fondato nel 1949 con il nome di Plivačko-vaterpolski klub Mornar, capace di vincere quattro scudetti tra il 1950 e il 1961 e la Coppa Coppe del 1987 in finale sul Catalunya.

Spalato, prosegue Rudić, “era la città più sportiva della Jugoslavia, ricordo Skansi, il cestista, che anche lui giocava a pallanuoto, c’erano Pilic e Franulovic che giocavano a tennis. Cercavamo più democrazia, si sentiva nell’aria che ci sarebbe stato qualcosa, ma mai avremmo pensato che si potesse arrivare ai massacri, c’è una bella differenza tra la voglia di autonomia e un massacro e non so come ci si sia arrivati”.

A Zagabria, dopo il liceo, si iscrive ad architettura e passa anche un esame prima di farsi travolgere dalla vita di giocatore che lo porta al Partizan con cui vince sette scudetti e due coppe Campioni. Gli resta però la passione per la pittura, soprattutto Dalì e Hyeronimus Bosch, pittore olandese della seconda metà del Quattrocento che ha messo in scena la libertàconcessa da Dio all'uomo, la sua caduta nel vizio e il destino infernale che attende i peccatori. “Bosch evoca un male immateriale, un principio di ordine spirituale che deforma la materia, un dinamismo che agisce in senso contrario a quello della natura” ha scritto il critico van de Bossche. Anche per questo Michael Connelly ha scelto di dare il suo nome al poliziotto protagonista di tanti suoi romanzi di successo, da “La memoria del topo” a “Il poeta”. Proprio un quadro di Bosch, “Il trittico del giardino delle delizie” è al centro delle indagini che coinvolgono anche l’altro personaggio simbolo di Connelly, Terry McCaleb.

È un pittore di ombre, Bosch, le cui opere non possono lasciare indifferenti. Così come Rudić, coach che divide, coach di passione e di passioni. “allenare dà la stessa sensazione che hai davanti alla tela bianca, è un processo creativo, c'è un programma da riempire e lo devi fare con qualcosa che hai dentro di te. Fatto bene questo, se i giocatori entrano insieme a te nel quadro, il risultato viene comunque. Per me i soldi non hanno alcuna influenza, io non ho il sentimento di ' essere pagato' : lavoro per autoriconoscermi, perché anche la nazionale è una creazione mia”. La sua più bella creazione, almeno per noi italiani, rimane la nazionale che ha saputo portare all’ultimo oro olimpico alla piscina Picornell di Barcellona.

Rudić e l’Italia
Nel 1986 la Jugoslavia di Rudić batte l’Italia nella finale dei campionati mondiali. Si gioca a Madrid e servono quattro tempi supplementari per fissare il 12-11 finale. Quattro anni dopo Rudic arriva in Italia nel 1990 al posto dell’esonerato Fritz Dennerlein. Con la nazionale jugoslava ha vinto anche due olimpiadi, nel 1984 e 1988 e un europeo.

Nel 1992 sarà ancora la Spagna il teatro di un’impresa destinata a riscrivere la storia. A Barcellona, dopo sei tempi supplementari nasce il Settebello. L’Italia dell’organizzazione e dei muscoli supera la Spagna dell’estro di Manuel Estiarte sotto gli occhi di re Juan Carlos. È Gandolfi a segnare il gol del 9-8 e dare all’Italia l’ultimo oro delle Olimpiadi del 1992. Ma riviviamo quei 46 minuti di gioco effettivo.

Il miracolo di Barcellona
L’Italia parte forte. Fiorillo per Ferretti, sinistro e 1-0. Così si chiude il primo periodo. Poi Caldarella raddoppia beffando Rollán sul primo palo prima della rete di Estiarte. L’Italia difende e contrattacca. La Spagna tira poco e male, l’Italia invece in attacco è perfetta. Campagna dalla distanza fa 3-1 e la palombella di Ferretti porta gli azzurri al +3. Il centroboa Salvador Gómez fissa il punteggio sul 4-2 all’intervallo lungo.

Alla ripresa Pedro García riporta sotto la Spagna (3-4) ma l’Italia allunga ancora grazie al rigore di Campagna e al secondo gol di Caldarella. Gli arbitri, l’olandese van Dorp e il cubano Martinez, aiutano gli spagnoli, che si riportano a un solo gol di distacco con la doppietta di García che prima segna dai 4 metri poi supera Attolico in uscita.

Ferretti sigla il 7-5 con l’uomo in più ma Estiarte, dopo aver sbagliato un rigore, segna il 7-6 prima che Oca sorprenda Attolico. È l’aggancio. È il 7-7 che vuol dire tempi supplementari, che vuol dire storia. Fiorillo si fa espellere per un pugno a Estiarte. Il capitano ha la palla della vittoria a 42 secondi dalla fine del secondo mini-tempo da tre minuti. Tira un rigore nell’angolo alto a sinistra e sorprende Attolico. Primo vantaggio Spagna. L’allenatore iberico Matutinović, che aveva guidato il Mornar alla vittoria in Coppa Coppe sul Catalunya, chiede ai suoi di pressare in difesa. Ma Bovo riesce a pescare Ferretti che insacca sul primo palo: 8-8. Si va avanti. 

Tre tempi supplementari iniziano e finiscono senza gol finché Gandolfi, servito da Ferretti, la mette sotto le braccia di Rollán. 9-8 Italia a 32 secondi dalla fine del sesto supplementare. Sono 32 secondi di lotta. A 4 dalla fine, Estiarte subisce fallo, poi serve Oca che tira: traversa piena. L’Italia vince il terzo titolo olimpico della sua storia dopo Londra 1948 e Roma 1960 e lo festeggia con il tuffo d’ordinanza. Anche Rudic si getta in piscina. Capitan Fiorillo, in conferenza stampa, dichiara: “Rudić è lo stesso tecnico che, quando stava dall’altra parte, ci faceva uscire dall’acqua distrutti perché avevamo perso. Adesso è dalla nostra parte, non è una differenza piccola”.


In un anno, il Settebello aggiunge al titolo olimpico la Coppa Fina, i Giochi del Mediterraneo e i Campionati europei di Sheffield del 1993 (secondo titolo continentale dopo quello del 1947). Il 1993 è anche l’anno della morte di Paolo Caldarella, che con Ferretti componeva la coppia di centroboa più forte del mondo. È morto in un incidente di moto, travolto da un furgone sulla Floridia-Siracusa.

Nel 1994 aggiunge anche un titolo mondiale, di nuovo in finale contro la Spagna (10-5). Gli iberici conquistano il primo possesso, ma la partita si sblocca solo per l’espulsione contemporanea di Campagna e Gandolfi. Segna Oca, ma gli azzurri pareggiano in superiorità con una deviazione volante di capitan Fiorillo. Sono le espulsione a determinare l’andamento del punteggio in avvio. Senza García, la Spagna subisce la rete di Calcaterra. Francesco Porzio trova il sette e allunga, ma Ballart riporta sotto la Spagna: 3-2 Italia alla fine del primo periodo.

L’Italia si conferma infallibile con l’uomo in più e Silipo fa centro due volte su due. L’Italia difende alla grande, Estiarte è nullo. La Spagna non può giocare in velocità e Campagna punisce ancora da fuori. All’intervallo è 7-2 Italia. García interrompe il break azzurro (4-0) ma Francesco Porzio su rigore (per fallo di Ballart) riporta il Settebello al +5. Va in gol Ferretti prima della rete di Marcos e della splendida parata di Attolico che vanifica il pallonetto di Ballart. L’Italia conduce 9-4 alla fine del terzo periodo. Il quarto è solo il preludio della festa con i due rigori di Campagna e Estiarte.

Rudić vince una grande scommessa a Vienna, agli europei del 1995. Saluta Fiorillo, i due Porzio, Campagna, Averaimo, Ferretti, Gandolfi e D’Altrui. Regala la prima esperienza ad alto livello a Angelini, Bencivenga, Alessandro Calcaterra, Gerini, Ghibellini, Giustolisi, Petronelli, Postiglione, Sottani e Temellini. Eppure riesce a confermare il titolo continentale battendo in finale l’Ungheria 10-8 in un’edizione che vedrà il primo successo del Setterosa di Formiconi (7-5 in finale alle magiare).

Da qui però iniziano le tensioni, le difficoltà. Arrivano le sconfitte. Il bronzo di Atlanta 1996, i quarti agli Europei di Siviglia e il quinto posto ai Mondiali di Perth. Fino all’uscita polemica ai Giochi di Sydney. Le accuse agli arbitri, la squalifica di un anno dalla Fina per aver gettato discredito sulla pallanuoto. Una sospensione che porta all’esonero. Ha iniziato il 22 dicembre 1990, con la prima panchina proprio contro la Spagna (9-9), ha chiuso il 29 settembre del 2000 contro l’Ungheria. E proprio contro l’Ungheria inizia l’era Campagna, a Zagabria, nella città dei genitori di Rudić, nella Final Four della Euro League.

Rudić cerca nuove scommesse da vincere, prima in Usa poi nella sua Croazia. Nuovi sentieri per dimostrare di poter competere ad alti livelli. In fondo, i croati sono fatti così.

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